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A cura di Vittoria Polacci (Rockol, Cultweek)

Domanda scontata e prevedibile: da dove è iniziato tutto? Come hai scoperto la tua fortissima passione per il basso?

Tutto è nato con la classica situazione in cui i tuoi amici suonano, ma manca un bassista per formare una band. Io ancora non sapevo cosa fosse il basso!
Ho iniziato a capirne il ruolo e l’importanza quando a 17 anni iniziai a studiare con Christian Marras, grazie al quale ho deciso di intraprendere la carriera di musicista.
C’è stato poi il CPM, trasferendomi da Genova a Milano, alcuni docenti privati e infine lo IED.

E oggi? Come ti approcci allo studio dello strumento?

La passione e la curiosità sono le stesse di quando ero adolescente! Quel che è cambiato, per fortuna, è la consapevolezza quindi oggi l’interesse è più forte che mai.
La chiave è non accontentarsi mai.
Oggi continuo a studiare sia in modo più “tradizionale” (tecnica, Chord Tones, Scale, …) sia con un buon allenamento all’ascolto.
Essere onnivori di musica diventa un’arma vincente. In fondo, si studia per imparare a suonare con gli altri, e suonare insieme non significa “suonare contemporaneamente”. Per arrivare a un interplay profondo e consapevole, l’ascolto diventa indispensabile.

Qual è il tuo metodo? Quali sono le difficoltà che si possono incontrare? E qual è invece il tuo approccio con il lavoro?

Il metodo più efficace, a mio avviso, è studiare tutto: tecnica, ritmica, armonia, lettura, stili musicali, arrangiamento, produzione… Questi aspetti vengono dati per assodati in un contesto lavorativo, nel quale è indispensabile essere in grado di non creare problemi ma offrire soluzioni. La difficoltà consiste poi nell’assimilare, in modo da non dover più pensare alla relazione scala-accordo. Insomma, suonare quel che si canta e non cantare quel che si suona.
Un altro aspetto fondamentale è quello psicologico. Capire cosa si vuole comunicare, quale sia obiettivo finale e risultare di conseguenza sempre al servizio della canzone, ma (possibilmente) mettendo sempre qualcosa di nostro. Questo vale ovviamente sia per noi stessi sia per quando stiamo lavorando al servizio di altri.

Nel tuo personale rapporto con la musica: quali generi ti affascinano? Prediligi la musica puramente strumentale o brani che vedano la presenza di una voce?

Come dicevo prima, cerco di essere il più possibile onnivoro verso la musica, credo che rispecchi quasi una deformazione professionale. Andando però sul gusto personale, prediligo i brani cantati: da buon genovese, sono cresciuto ascoltando i cantautori. Amo molto le melodie. In ambito puramente strumentale invece, amo le Colonne Sonore perché trovo affascinante la potenza evocativa nel rapporto Audio-Video.

In mezzo a questo grande panorama variopinto, quali sono i progetti che ti coinvolgono di più?

Dopo diverse esperienze lavorative in Italia e all’estero suonando cover, ho sentito la necessità di lavorare anche sulle canzoni ancora “da scoprire”, ovvero i progetti inediti. Questa realtà rispecchia la vena genuina del mio rapporto con la musica. Prendo a cuore i progetti in cui sono coinvolto e mi piace cercare lo straordinario dentro le storie di tutti i giorni, in cui chiunque possa rispecchiarsi.

Come vedi la musica oggi? In che direzione stiamo andando?

Per musica s’intende una successione ordinata di suoni, che possa essere scritta indicando tutti i loro elementi: ritmo, armonia, melodia, timbro, altezze,...
Nel 2017 trovo questa definizione quasi “limitante”, considerando tutta l’evoluzione del nostro ultimo secolo tramite il cinema, la musica futurista e il Sound Design. In un’intervista, John Cage affermò che la musica è un insieme di rumori, e dal momento che lui sarebbe andato ad eseguire una sua composizione con oggetti non convenzionali (vasca da bagno, tostapane, ...) quella sarebbe stata comunque musica. Accademicamente ho studiato entrambi questi mondi, e trovo quindi molto stimolante poter usufruire di entrambi, sia quello più “tradizionale” con lo spartito e il mio strumento, sia in quello “meno convenzionale” dove anche il verso di un gatto, spostare un tavolo o registrare un rubinetto che perde possano risultare musicali con il giusto trattamento di produzione.
Quel che noto è che siamo nell’epoca del “timbro”, viene data quindi molta importanza all’estetica del suono. Per il resto, anche le mode musicali sono cicliche, e i suoni degli anni ’80 e ’90 son tornati di moda. Sono solo adattati a questo nuovo periodo.
Anche io ho una parte legata all’effettistica sul mio strumento: si tratta di colori che si possono applicare per rendere il tutto più creativo, talvolta in modo accennato, talvolta come vera esigenza timbrica.

Diario sonoro

Dopo la mia prima esperienza di consulente musicale, ho realizzato alcune playlist disponibili su Spotify (e reperibili qui nel mio sito, con delle descrizioni aggiuntive in allegato).
Ho pensato quindi di realizzare un’ulteriore playlist che ho deciso di chiamare “Diario Sonoro”, per raccontarmi dall’infanzia ad oggi. Dalle canzoni che mi ritrovavo ad ascoltare in modo più o meno attivo da bambino, alla fase adolescenziale con le prime scoperte e i primi ascolti legati al mio stile strumento musicale, sino agli studi accademici e a quello che sono oggi.
Come sempre, 15 tracce è un numero altamente limitato, ma voleva essere un semplice modo alternativo di raccontarmi.